“L’oblio che saremo”, Héctor Abad – Non vendetta, ma ricordo

“Conservai per anni, segretamente, quella camicia insanguinata. […] Non so perché la conservai. Era come se volessi tenerla lì, come un pungolo, […] come la promessa che avrei vendicato la sua morte. L’ho bruciata scrivendo questo libro perché ho capito che l’unica vendetta, l’unico ricordo, e anche l’unica possibilità di oblio e di perdono consisteva nel raccontare quanto era accaduto, e nient’altro.” 

Come si riesce a parlare di un genitore al quale si era profondamente legati? Come si riesce a scriverne senza lasciar trasparire odio o desiderio di vendetta per un assassinio rimasto senza colpevoli? Forse è stato proprio per il profondo affetto e la stima incondizionata per quell’uomo che Héctor Abad Faciolince, figlio di Héctor Abad Gómez (medico, professore universitario e presidente del Comitato per i Diritti Umani), riesce a regalarci un libro ricco, malinconico, a tratti tanto crudo e diretto nel descrivere la situazione del suo paese, la Colombia, che quasi non ci si crede.

Ho ritrovato “L’oblio che saremo” sistemando alcuni dei tanti (troppi?) libri nella mia piccola stanza, rivedendo così anche qualche appunto preso la prima volta che l’ho letto. Una pubblicazione del 2006, uno dei tre di questo autore arrivati in Italia. Curioso il titolo, in spagnolo “El olvido que seremos”, ma si tratta di un verso di Borges volutamente ‘preso in prestito’ per evocare la fugacità del tempo e della vita umana. Un racconto di persone, fatti e luoghi destinati (come tutto) ad essere prima o poi dimenticati. L’autore però ha voluto farli rivivere, ripercorrendo gli anni della sua infanzia e giovinezza attraverso le vite di chi è prematuramente scomparso.

“Nella casa vivevano 10 donne, un bambino e un uomo. […] Il bambino, io, amava quell’uomo, suo padre, sopra ogni cosa.” Con pochissime parole iniziali, Abad è riuscito a darci fin da subito un’idea di quanto la figura del genitore abbia significato per lui. Unico maschio dei sei figli di Héctor Abad Gómez e della moglie, fin da subito ci permette di entrare nell’intimità della sua vita, di capire quanto potente fosse il rapporto tra lui ed il padre, un legame che l’ha senza dubbio segnato per la vita. Non stiamo parlando di un uomo perfetto, ma di un uomo che ha vissuto sempre secondo i suoi ideali, non cedendo a compromessi e desiderando solo l’equità e la giustizia sociale.

Héctor Abad Gómez era una persona semplice, laureatasi in Medicina e diventata in seguito professore universitario a Medellín, dove viveva con la famiglia, a cui era molto legato. Stiamo parlando della Colombia, un paese descritto come nella morsa del narcotraffico e di politici senza scrupoli. Abad padre, uomo di profonda cultura, amante dei libri e della musica (passioni che ha trasmesso anche al figlio), ha trascorso la sua vita a lottare perché tutti, in particolare i poveri del paese, avessero un minimo di istruzione, perché venissero garantiti i diritti umani, perché soprattutto avessero di che sfamarsi e di che curarsi in caso di malattia. Due fattori per lui legati da un rapporto causa-effetto.

Come detto, non viene descritto un uomo perfetto, visto che lo stesso figlio ne parla come una persona a volte ingenua, o a tratti troppo testarda nelle sue battaglie, o addirittura ‘esagerata’ nell’affetto che trasmetteva alla moglie ed ai figli (la morte della figlia Marta per malattia è infatti stato un colpo che l’ha profondamente segnato). Ciò che traspare in particolare però è la profonda genuinità di questa persona, che non ha mai rinunciato alle sue idee pur avendo tante persone contro. Anche quando sapeva di essere ormai segnato come ‘pericolosissimo comunista’ (come verrà chiamato anni dopo davanti ad un nipote), quindi da eliminare.

Il 25 agosto 1987 è il giorno in cui Héctor Abad Gómez viene ritrovato ucciso per strada. Lo sanno tutti che i responsabili sono i cosiddetti squadroni della morte, ma nessuno pagherà mai per questo crimine, uno purtroppo dei tantissimi che vengono elencati nel corso del libro. Professori, studenti, artisti, oppositori politici o meno: bastava davvero poco per essere etichettati come ‘traditori’ ed essere quindi segnati o, molto più spesso, letteralmente tolti di mezzo. Come appunto è successo al padre dell’autore, un uomo che voleva solo l’uguaglianza sociale, cercando nel suo piccolo di apportare qualche miglioramento in questo mondo.

Personalmente ritengo che sia un libro che lascia davvero un segno in chi decide di conoscere un po’ meglio questa parte di storia. Attraverso la sua vita e quella della sua famiglia, Héctor Abad Faciolince ci racconta uno spaccato della sua Colombia (nella quale è riuscito a tornare definitivamente nel 1992 dopo essere rimasto per anni in Italia), un paese diviso da violenze di ogni tipo, nel quale però riesce a dare la giusta luce alla figura del padre. Non c’è desiderio di vendetta, ma si tratta davvero di un libro prezioso, una testimonianza della vita e delle gesta di un ‘piccolo’ uomo, reso immortale dalle parole del figlio.

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